Finalmente si riparte, dopo la cinquina rimediata a Bologna. E si riparte con la notizia dell’intervento chirurgico che obbligherà il nostro primo tifoso in campo, Patric, a saltare l’ultima parte della stagione, quelle 9+2+speriamo altre 3 partite dalle quali dipenderà il giudizio finale su questo 2024/2025 partito alla grande e che si è fatto via via complicato. Occasione che apre le porte del campo al giovane Provstgaard. Magari viene fuori qualcosa di buono.
Si riparte con un altro infortunio, che si aggiunge a quelli, si spera in via di soluzione, che affliggono Castellanos e Tavares, partito per la nazionale e rispedito dai medici a Formello.
La sosta riservata alle nazionali rimanda elogi per Isaksen, e non sono una novità, e qualche critica per Guendouzi e Rovella, oltre al solito utilizzo bizzarro di Zaccagni da parte di Spalletti, che sembra disinteressarsi di certe indicazioni del campionato (vedi esclusione di Orsolini, se proprio non vuoi prendere le parti dei laziali).
Ma della nazionale a questo punto ci importa poco, se ne riparlerà a giugno e lo spettacolo mostrato a Dortmund non è particolarmente incoraggiante. Quanto a Rovella, ha giocato l’andata a Milano in modo più che sufficiente, rimediando il solito cartellino giallo. Tema su cui si dovrà lavorare, tutti insieme, in prospettiva, anche se le ossa biancocelesti mi dicono, faziose, che trattasi di speciali occhiali antiLazio che inforcano gli arbitri in certe circostanze. E che ci volete fare, siamo tifosi.
La notizia della settimana è il benservito dato dalla Juve a Thiago Motta, con richiamo di Igor Tudor di recente laziale memoria. Detto del delirio d’onnipotenza di Motta, che ha innescato vortici di scelte bizzarre e incomprensibili ai più, dei destini della Juve ci importa poco, a parte il fatto che è una diretta concorrente per aggiudicarsi il quarto posto.
Su questo obiettivo va sgombrato il campo dalle illusioni: per arrivare lì serve giocare parecchio meglio di quanto fatto di recente, quindi inutile soffermarsi su calendari e vicende rivali. Prima tocca rialzarsi e tornare ai livelli autunnali.
Discorso che investe, ovviamente, anche la fase finale di Europa League, con il podista lungagnone norvegese che incombe, sinistro presagio di futuri cimenti in azzurro, con gli Haaland e gli Odegaard in agguato sui loro drakkar.
Il Bodo dovrebbe essere avversario affrontabile, ma se ne parlerà a tempo debito.
Lunedì arriva il Torino dell’antipatico Cairo, rilanciato di recente da raddrizzamenti invernali di mercato: beati loro, si sono aggiudicati pezzi buoni come Casadei e Elmas. Inutile dire che bisogna vincere, per forza, altrimenti ciao quarto posto. Da qui alla fine se si vuole arrivare a centrare quell’obiettivo bisogna vincerle quasi tutte, chi c’è c’è. Difficile riuscirci ma oh. Proviamoci.
Torna in lizza, dicevamo, il brusco Tudor, invocato l’anno scorso come castigamatti del capriccioso spogliatoio laziale dopo le dimissioni di Sarri.
Col tempo e le dichiarazioni di qualche protagonista il tiro su certe narrazioni è stato corretto e l’idea che mi sono fatto è che a) come dice Pedro la squadra era depressa perché b) come dice Sarri il suo malumore-da-mercato si era trasmesso alla squadra, perciò c) lui si è dimesso, ammettendo implicitamente le sue responsabilità, anche per via di d) alcune vicissitudini legate a brutti eventi familiari che e) secondo me poco avrebbero inciso se la squadra avesse funzionato a dovere. Così non era e la parola fine sulla storia della Lazio con Sarri la faccio risalire, in positivo, a Lazio-Bayern andata e ritorno.
Delle conduzioni tecniche degli ultimi 40 anni sono complessivamente soddisfatto, difficilmente abbiamo sbagliato mister, tolta la stagione di Ballardini e quella di ripartenza con Mimmo Caso. Baroni, a oggi, rispetto a Sarri, non è affatto un ridimensionamento, anzi. L’entusiasmo può fare la differenza e il mister lo ha riportato a Formello, a parte le ammaccature di questi giorni.
La gestione Tudor, invece, pur raggiungendo l’obiettivo della qualificazione europea, non ha lasciato ricordi in linea con il Concordia parvae res crescunt: troppo digrignar di denti, troppi ostracismi, troppi conti da regolare, troppo un po’ tutto. Simbolo della sua gestione il trattamento riservato a Guendouzi, che ha un curriculum indiscutibile, e il mettere al centro del suo progetto un Kamada che non aveva voglia di giocare qui e sembrava capitato per caso, preferendo proiettarsi verso un modesto club di Premier League dove sverna senza infamia e senza lode.
Sono curioso di vedere che riserverà l’Olimpico al mister croato, quando tornerà con la Juve, si spera con la stessa grinta con cui preparò il derby in cui si è consegnato alla roma con un’alzatina di spalle.
A noi serviva altro, e per fortuna ce ne siamo liberati.