5-0 a Bologna non è un bel risultato.
0-6 in casa contro l’Inter anche peggio.
Tra le due gare c’è tutta la frenata della Lazio: 7 vittorie, 6 pareggi, 6 sconfitte in 19 partite, tra campionato e coppe, 26 gol fatti (1,36 a partita) 29 subiti (1,52) di cui 11 soltanto nei due rovesci peggiori, quindi la media nelle altre 17 è di 1,05 a partita. Tradotto: la Lazio segna poco e subisce poco, salvo goleada (a favore il 5-1 col Monza).
Numeri che riportano un po’ alla Lazio/tristezza dell’ultimo Sarri, squadra che fu definita piatta, incapace di tirare in porta efficacemente. Il contrario della Lazio appuntita, brillante, verticale della stagione pre-Inter, quando le sconfitte arrivavano dopo prestazioni comunque all’altezza della situazione ed erano rare, intervallate da vittorie convincenti.
Che cosa è successo da quel brutto 16 dicembre, iniziato con uno splendido mezzo tempo finito al 41’ con quel rigore per mani casualissimo di Gigot, nel frattempo abbattuto con una scarpata in faccia da Lautaro Martinez?
Fiducia nei propri mezzi che viene meno, infortuni, impegni che si rincorrono, mercato di gennaio insoddisfacente, tutte ragioni possibili.
Quanto al mercato, lo si invoca per analogia con i mal di pancia di Sarri, che lamentava spesso la logica al ribasso della società. Un discorso da una parte fondato e dall’altra incoerente, nel momento in cui lo stesso tecnico lamentava le eccessive pretese dell’ambiente, o della cosiddetta cornice marcia di rejana memoria. L’aspettativa dei tifosi laziali superiore alla reale dimensione del club.
Un momento: la stessa cosa accade altrove. Non mi pare che i tifosi di roma, Napoli, Fiorentina nutrano aspettative in linea con il potenziale del club, al momento mi pare di vedere contenti giusto atalantini e bolognesi, a parte gli interisti che hanno ben altre ragioni per gioire. Juventini e milanisti, invece, rimpiangono il bel tempo che fu.
Quindi può essere mai l’aspettativa ipercritica del tifoso laziale il problema? No. Le scelte fatte sul mercato vanno in prospettiva: tre ragazzi giovani da inserire nel gruppo, evidentemente in quanto tali non ancora pronti, che si aggiungono a quelli arrivati in estate, due dei quali ancora indietro rispetto agli altri. Tchaouna e Noslin, che pure hanno fatto balenare qualche lampo di qualità.
Baroni intanto sta tirando fuori grosse cose da Isaksen, ha ricreato armonia e cultura del lavoro, col suo “alleno tutti”. Ha un po’ perso, ultimamente, la leggerezza con cui gestiva gli impegni, dando fiducia a tutti e sfruttando tutta l’ampiezza della rosa. In questo penalizzato da infortuni lunghi o reiterati e da scelte penalizzanti, anche autolesioniste, sue o della società (situazioni legate alla scommessa persa su Castrovilli, al calo delle prestazioni di Lazzari, alla precarietà della soluzione-Pellegrini).
Niente che non sia in linea col potenziale della Lazio, che punta a un posto al sole senza avere risorse all’altezza di alcune concorrenti. Negli anni passati sono arrivati piazzamenti onorevoli, ma non è detto che ci si possa ripetere tutti gli anni, anche in situazioni di transizione. Non si può dimenticare che hanno salutato il biancoceleste personaggi del calibro di Immobile, Luis Alberto e Felipe Anderson poco più di sei mesi fa e che Baroni è riuscito a non farli rimpiangere, finora.
Adesso sono arrivati i momenti brutti che si passano in ogni stagione. Per la Lazio febbraio e marzo sono mesi critici perché si sovrappongono gli impegni di campionato e coppe. Un privilegio che si paga, e che mette a nudo le debolezze di una rosa che è per forza di cose imperfetta.
Il ripetersi della circostanza, oltre a dire che la squadra è sempre competitiva, sottolinea che ogni volta a farne le spese è l’allenatore di turno, accusato di volta in volta per la preparazione, gli infortuni, le poche rotazioni, l’integralismo presunto e tutta la banda di luoghi comuni.
La realtà è che nessun allenatore ama perdere e che molti di quelli passati dalla Lazio hanno vinto, con la Lazio o dopo. Nel caso di Sarri, prima, ma di Inzaghi, Pioli, Petkovic si conoscono i risultati.
Quindi è evidente, dati alla mano, che la crisi della Lazio è dovuta a situazioni contingenti (infortuni, scarsa forma di alcuni) e strutturali (potenziale del club che orienta le scelte di mercato).
A Baroni è stato dato un gruppo quotato tra il sesto e l’ottavo posto in campionato. Dopo Bologna per la prima volta la squadra entra in questa dimensione di classifica, dopo aver volato alto fino a sabato. In Europa il cammino è da vecchi tempi dorati, in coppa Italia si è usciti contro la squadra più forte. I conti si fanno alla fine, ma a oggi a Baroni rimprovero solo una cosa: troppo spesso si prende colpe che non sono sue.
Sua è la responsabilità tecnica del gruppo che gli viene affidato. In campo non ci va lui, sul mercato nemmeno.
E a oggi il suo apporto come allenatore nel valorizzare il gruppo che gli è stato affidato è eccellente, migliore non si potrebbe proprio.
Quindi forza Baroni. Chi di dovere lo protegga e si prenda le proprie responsabilità.
Italiano a Bologna sta facendo il fenomeno, non credo venga via.
Comunque pare ci sia stato un forte endorsement da parte della società, quindi per ora non c'è problema. L'importante è che non ci siano fratture con la squadra, Fabiani ama molto chiacchierare...
Chi di dovere lo protegga e si prenda le proprie responsabilità
Purtroppo temo che le improvvide dichiarazioni di Fabiani, factotum di Lotito - anzi di più visto il ruolo istituzionale del Senatore, oltre che portatore della causa Flaminio - siano l'anticamera del licenziamento di Marco Baroni, la cui bravura ed umiltà ha fatto ricredere anche a me (non nego che ad inizio stagione ero piuttosto scettico).
Fabiani non ha capito o, forse, ha capito benissimo che l'ambiente mefitico che ruota intorno alla Lazio, del quale prima Reja poi Sarri diedero una definizione perfetta, ha trovato ciò di cui anelava da tempo: un bersaglio su cui scatenarsi contro tanto che già si parla di Italiano.
Secondo Fabiani Baroni è quello che sbaglia modulo, Baroni è quello che a gennaio non ha voluto cambiare alcuni pezzi (Fabiani dimentica come definì illo tempore Casadei o Fazzini stesso, giocatori che avrebbero rinforzato qualitativamente il rabberciato centrocampo biancoceleste fermo a Guendozi-Rovella, tanto che nelle ultime partite ha dovuto ripiegare sull'ancora convalescente Gabarron Patric in mediana).
Detto ciò, nonostante alcuni errori, Forza Marco Baroni!